IL GIUDICE TUTELARE
    Vista  la  richiesta  di interruzione della gravidanza avanzata in
 data 25 luglio 1990 da Di Bonito Maura, minore degli anni 18;
    Vista  la  relazione in data 17 luglio 1990 della locale struttura
 socio-sanitaria (ambulatorio ospedaliero di ostetricia e  ginecologia
 della XIX unita' sanitaria locale);
    Sentita personalmente la richiedente;
    Ritenuto  che,  nel  mentre  la  madre della minore ha formalmente
 manifestato il suo  assenso  all'interruzione  della  gravidanza,  il
 padre  della  minore  non  ha  potuto esprimere in nessun modo il suo
 avviso, in quanto non  informato  della  situazione,  assumendosi  da
 parte  della  minore  e della madre di lei l'esistenza di seri motivi
 che ne sconsiglierebbero la consultazione;
                             O S S E R V A
    Assolutamente   prioritari   in   ordine   logico   rispetto  alle
 valutazioni di carattere sostanziale e di merito affidate al  giudice
 tutelare  dall'art.  12,  secondo  comma, seconda proposizione, della
 legge 22 maggio  1978,  n.  194,  e'  la  valutazione  relativa  alla
 sussistenza  dei presupposti di legittimita' formale della richiesta,
 quali sono previsti nella prima  proposizione  del  citato  comma  di
 legge.
    E'  assolutamente pacifico (e non e' quindi il caso di diffondersi
 particolarmente sul punto) che l'applicazione della  norma  in  esame
 da'  luogo ad un vero e proprio giudizio e quindi all'esercizio della
 giurisdizione,  sia  pure  nella  forma   della   giurisdizione   non
 contenziosa  o volontaria, cosicche' non puo' in alcun modo ritenersi
 precluso al giudice il potere-dovere di vagliare la conformita' della
 applicanda norma al dettato costituzionale.
    Questo  giudice,  premesso  che  gia' ebbe a sollevare la medesima
 questione ritenuta manifestamente infondata o 9 gennaio 1989, n. 14 e
 che  ha  ben presente, oltre che, ovviamente, quest'ultima ordinanza,
 anche la sentenza n.  109  del  25  giugno  1981  in  tale  ordinanza
 richiamata,   si  ritiene  costretto,  in  quanto  assolutamente  non
 convinto  delle   argomentazioni   addotte   per   disattenderla,   a
 risollevare la questione, non potendo in alcun modo pervenire in modo
 autonomo ad un convincimento che si adagi alle sopra citate decisioni
 della Corte costituzionale ostandovi a suo avviso ragioni che tuttora
 ritiene valide ed insuperate.
    Giova   preliminarmente  richiamare  brevemente  i  termini  della
 questione; per effetto dell'attuale formulazione  del  secondo  comma
 dell'art.  12  della  legge  22  maggio  1978, n. 194, e' attualmente
 possibile   l'intervento   dell'autorita'   giudiziaria   sostitutivo
 rispetto a quello del genitore esercente la potesta' sulla minore non
 solo nel caso in cui detto genitore  sia  all'oscuro  dello  stato  e
 delle  intenzioni  di lei per motivi obiettivi ed insuperabili ("seri
 motivi che impediscano  la  consultazione"),  ma  anche  quando  tale
 situazione  di  sconoscenza  sia  superabile e dipenda esclusivamente
 dalla volonta' della  richiedente  o  di  terzi)  ("seri  motivi  che
 sconsiglino la consultazione").
   Tale  normativa,  non  pare  tuttora  allo scrivente, nonostante le
 dianzi richiamate pronuncie della  Corte  costituzionale,  rispettosa
 dei  limiti  imposti dalla Costituzione. Intanto si rileva come nelle
 sue pronunciate detta Corte non ha affatto contestato che l'esercizio
 dei  poteri  inerenti  alla  potesta' dei genitori (nel cui ambito si
 inserisce quello di esprimere  il  proprio  avviso  sull'interruzione
 della gravidanza), finalizzati come sono alla protezione dei soggetti
 incapaci, trova il suo fondamento  in  precise  norme  della  vigente
 Costituzione, si' da atteggiarsi, oltre che come un dovere, pur anche
 come un vero e proprio diritto soggettivo, come tale non comprimibile
 ad  libitum  dal  legislatore  ordinario;  ne' in tali pronuncie sono
 contenute  affermazioni  che   contrastino   con   l'opinione,   gia'
 manifestata ed ora ribadita, secondo cui il chiaro disposto dell'art.
 30 della Costituzione consente di inquadrare i compiti di  protezione
 affidati  ai  genitori nell'esercizio di un vero e proprio diritto di
 carattere pubblicistico, affermato  pur  anche  nei  confronti  dello
 Stato,  il quale potra' quindi spiegare un suo intervento, suppletivo
 o  sostitutivo,  nei  soli  casi,   previsti   dall'art.   30   della
 Costituzione, di "incapacita'" dei genitori. Ed ancora deve rilevarsi
 che,   nelle   piu'   volte   richiamate   prununcie   della    Corte
 costituzionale, non risulta si sia mai affermato che tale diritto del
 genitore, cosi' come qualsiasi diritto soggettivo, non  debba  godere
 delle  garanzie di difesa assicurate dall'art. 24 della Costituzione.
    Secondo  il pensiero della Corte costituzionale la gia' piu' volte
 citata norma contenuta nella legge n. 194/1978 non confliggerebbe  in
 alcun  modo  con  i  parametri  offerti  dagli  artt.  30  e 24 della
 Costituzione, in quanto essa non esclude affatto la consultazione del
 genitore, "ma ne rimette l'opportunita' al prudente apprezzamento del
 giudice tutelare, in conformita' dell'intento, nettamente  perseguito
 dal legislatore, di prevenire, prima ancora che reprimere penalmente,
 l'aborto clandestino".
    Ritiene  lo  scrivente  di  dovere, rispettosamente ma nettamente,
 dissentire da siffatta affermazione, e cio' per due ordini di motivi,
 ciascuno  dei quali pare sufficiente, di per se', solo a giustificare
 un convincimento nettamente  contrario  rispetto  a  quanto  ritenuto
 dalla Corte costituzionale.
    In  primo  luogo  questo giudice tutelare ritiene che insuperabili
 considerazioni  di   carattere   ermeneutico   gli   impediscono   di
 condividere  l'interpretazione  della norma fatta proprio dalla Corte
 costituzionale, secondo cui gli sarebbe consentita la possibilita' di
 consultare  il  genitore  non  informato,  ove lo ritenesse opportuno
 secondo  il  suo  prudente  apprezzamento.  Cosi'  come   attualmente
 configurato,  il testo dell'art. 12, secondo comma, sembra consentire
 l'interpello  (seconda  proposizione)   nella   fase   amministrativa
 antecedente  alla  trasmissione  degli  atti da parte della struttura
 sanitaria  al  giudice  tutelare,  ma  non  anche   nella   fase   di
 giurisdizione   volontaria  dinnanzi  a  tale  giudice,  disciplinata
 distintamente nella terza  proposizione  del  medesimo  comma,  nella
 quale  non  pare  davvero  consentito  il  compimento  di  altri atti
 all'infuori dell'esame della donna (ed eventualmente del genitore che
 la  accompagni),  ma non certamente l'espletamento di una forma anche
 solo  embrionale  di  inchiesta;  e  del  resto  anche   nella   fase
 amministrativa  dinnanzi  alla struttura sanitaria la possibilita' di
 interpello dei genitori si presenta in  forma  alternativa  (come  si
 desume   dalla   struttura   logica  della  frase  e  dall'uso  della
 congiunzione fortemente disgiuntiva "oppure") rispetto  alla  ipotesi
 dell'esistenza   dei   motivi   che   impediscano  o  sconsiglino  la
 consultazione. Solamente ove  l'inciso  costituito  dalle  parole  "o
 sconsiglino"  dovesse  essere  espunto  dal  testo  normativo, questo
 giudice si sentirebbe facoltizzato, de jure condito, a consultare  il
 genitore disinformato.
    In  secondo luogo (secondo in ordine logico ma non certo in ordine
 di importanza) un'altra e distinta serie di  considerazioni  preclude
 insuperabilmente  a  questo  giudice  la  possibilita' di accettare e
 condividere il pensiero gia' manifestato, in  ordine  alla  sollevata
 questione, da parte della Corte costituzionale.
    Ed  invero  quest'ultima  sembra opinare che la tutela del diritto
 soggettivo del genitore  sarebbe  sufficientemente  assicurata  dalla
 possibilita',  riservata  alla  prudente  valutazione del giudice, di
 procedere alla sua consultazione; ma una siffatta concezione pare  in
 contrasto,  radicale ed insanabile, con i principi piu' elementari di
 un moderno Stato di diritto nel  quale  l'esercizio  del  diritto  di
 difesa  non  costituisce gia' una benevola concessione dell'autorita'
 giudiziaria, vista in un'ottica paternalistica, ma deve essere sempre
 ed incondizionatamente garantito. Un procedimento giurisdizionale nel
 quale viene istituzionalizzata la possibilita' che il giudice conosca
 di  un qualsivoglia rapporto giuridico impingente in una posizione di
 diritto soggettivo (e tale, va ribadito  con  forza,  e'  quella  del
 genitore esercente la sua potesta') senza che al soggetto interessato
 venga garantita non  gia'  come  semplice  eventualita'  bensi'  come
 necessita'  indefettibile la possibilita' di fare valere, debitamente
 informato, le proprie ragioni, pare manifestamente in  contrasto  con
 il  disposto  di  cui  all'art. 24 della Costituzione. E proprio alla
 luce di siffatto orientamento si e' storicamente  realizzata  proprio
 da parte della Corte costituzionale, in un passato non ancora remoto,
 una serie di interventi demolitori di tutta la normativa (si pensi in
 particolare a molte norme del passato codice di procedura penale) che
 rendevano eventuale e non indefettibile la garanzia  del  diritto  di
 difesa.
    L'affermazione  quindi  secondo  cui nessuna lesione al diritto di
 difesa sarebbe ravvisabile nella  fattispecie,  in  quanto  la  norma
 impugnata   rimette   alla   prudente   valutazione  del  giudice  la
 opportunita' di consultare il genitore, presenta singolari aspetti di
 anacronismo,   attagliandosi   piuttosto   ad  ordinamenti  giuridici
 anteriori all'affermazione dei principi costituzionali  propri  dello
 Stato  moderno,  quasi  che  il  riconoscimento del diritto di difesa
 costituisca graziosa concessione  del  giudice  e  non  gia'  diritto
 soggettivo  della  persona  i  cui  diritti costituiscono oggetto del
 giudizio; in ogni caso si presenta come un radicale revirement di  un
 ben   diverso   e   consolidato   orientamento   della  stessa  Corte
 costituzionale,  che  ha  ispirato  suoi   memorabili   ed   incisivi
 interventi,   revirement  sempre  possibile,  beninteso,  ma  avrebbe
 bisogno di ben piu' convincente dimostrazione.
    Quest'ultima, e' bene dirlo esplicitamente, non puo' in alcun modo
 consistere nella pura e semplice  constatazione  che  si  tratterebbe
 comunque    di    norma   inquadrabile   nell'ambito   della   scelta
 politico-legislativadi lasciare la  donna  unica  responsabile  della
 decisione   di   interrompere   la   gravidanza;   anche   le  scelte
 politico-legislative  debbono  essere  esercitate   nell'ambito   dei
 principi  e  delle  norme  vincolanti dettate dalla Costituzione, ne'
 certamente la parola "politico", anteposta come prefisso alla  parola
 legislativa,  puo'  costituire  una  sorta  di  magico  lasciapassare
 legittimante prevaricanti forzature  dei  precetti  costituzionali  e
 delle  garanzie  da  essi  imposte. E pertanto il diritto alla salute
 della  donna,   costituzionalmente   garantito,   deve   essere   dal
 legislatore  coordinato con ogni altro concorrente diritto di valenza
 costituzionale (nel caso di specie, vertendosi nel  momento  iniziale
 di  deliberazione  della regolarita' formale della procedura, vengono
 soltanto in considerazione i diritti, sostanziali e  processuali  dei
 genitori  non informati), ne' certamente il sacrificio di uno di tali
 diritti potrebbe essere validamente  giustificato,  sul  piano  della
 costituzionalita',  dalla  pretesa  coerenza  al disegno dell'intiera
 normativa, frutto di una scelta politica  che,  nel  momento  in  cui
 diviene  scelta legislativa, non puo' sottrarsi ad una valutazione di
 conformita' alle scelte costituzionali.